Lamezia: Oreste Bazzichi “Dibattito sull’economia di pace”

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Martedì 07 Gennaio 2014 10:07

Lamezia Terme – L’articolo di Nelida Ancora, apparso sul “Lametino” del 4 gennaio scorso dal titolo “La speranza del futuro: l’economia di Pace”, non poteva lasciare indifferente un teologo sociale di ispirazione francescana, come sono solito definirmi. D’altra parte, il richiamo al Messaggio di Capodanno di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace, rafforza la mia idea che l’economia di pace, come l’ha caratterizzata Nelida Ancora, aprendo il dibattito sull’argomento, è una proposta che riassume molti valori universali e di sempre: la pace, un bene irrinunciabile che si innesta nell’uomo e nella società, creando un legame tra natura e cultura. “Pace e Bene”: il saluto francescano, che in un momento così difficile per l’Italia e per il mondo può darci lo spirito e l’opportunità di ricostruire una società più umana, più autentica e costruttiva. Per riproporci quella sobrietà nel vivere, quello spirito della fraternità e della reciprocità, che donano la vera felicità, educando tutto l’uomo – corpo ed anima – ad uno stile di vita in armonia con il nostro essere e con l’universo. Per ricordarci che il superfluo – il “dispendio” come lo definisce il sociologo francese Bataille – è un falso benessere che induce a consumare e poi ancora a consumare incessantemente, immergendoci in inutili possessi che ci tolgono la libertà, la bellezza e la gioia dell’esistere: i tre concetti che costituiscono, per S. Francesco, la “perfetta letizia”, e che noi abbiamo perso per strada. A ben guardare, quattro sono le modernità fondamentali insite nell’economia di pace e che S. Francesco, il santo globale, più d’ogni altro, ci suggerisce. La prima è quella di avere dato l’avvio ad un linguaggio d’impegno socio-economico, che poi i suoi frati hanno portato avanti, contribuendo alla nascita di un modello sociale fondato sulla dignità della persona, sulla sussidiarietà, sulla solidarietà e il bene comune (comunione, condivisione, uguaglianza nella diversità). Un tale sistema di organizzazione sociale fu favorito, oltre che dall’azione teorico-pratica dei francescani, anche dal momento storico, con l’emergere delle città-stato e l’imporsi della vita comunitaria nei territori come centri del “bene vivere” e della “civitas christiana”.

La seconda modernità è l’amore di S. Francesco che abbraccia tutto il Creato. Ne è testimonianza suprema il Cantico delle Creature che, tra l’altro costituisce una delle primissime e più importanti espressioni letterarie della nascente lingua italiana. Va subito precisato, però, che S. Francesco non corrisponde al sempliciotto di turno che rincorre i passerotti e le farfalle, che tanta aneddotica fanciullesca corrente tende a presentare. E non è nemmeno un “ecologista” moderno. I problemi ambientali, oggi drammatici, allora non si ponevano. Le scelte ecologiche di oggi non sono dettate tanto dall’amore e dal rispetto della natura, quanto piuttosto da un ineludibile forza maggiore che riguarda la sopravvivenza stessa dell’uomo. Per S. Francesco non era così. Il segreto del suo rapporto con il Creato, che dobbiamo recuperare, sta nel suo senso teologico. Per lui le creature rispondono a quel giudizio primordiale e definitivo espresso da Dio al momento della creazione: “E Dio vide ciò che aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31). Le realtà create contengono un “riflesso” di Dio, e Francesco le sente e le vive – scriverà S. Bonaventura da Bagnoregio – come “vestigia Dei”, come “impronte”, come “archetipi”, come “immagini” e “similitudini” di Dio; e quindi gli rendono presente Lui, la Sua bellezza, la Sua bontà, la Sua tenerezza per gli uomini, Sue creature. Si delinea così la visione di un mondo come una grande famiglia, dove ogni realtà, ogni singola presenza è un dono scambiato. Dal Cantico delle Creature erompe uno slancio di comunione e di fraternità universale, dove la deturpazione dell’ambiente, le ingiustizie, l’odio, le guerre costituiscono lacerazioni, violenze e morte. Da questa dimensione profetica di S. Francesco si colgono i presupposti per la terza modernità, che riguarda l’agire imprenditoriale. Nella visione francescana, per l’imprenditore non ha senso chiedersi fino a che punto, producendo e commerciando, può rompere, inquinare e trasgredire, mentre la sua funzione di concreare gli impone piuttosto di corrispondere al comando di Dio di custodire, animare e perfezionare il creato per il bene di tutti. Il biblico “soggiogate e dominate la terra” (Gen 1,28), infatti, va letto alla luce dell’altra espressione: “Dio pose l’uomo nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse” (Gen. 2,15). Quella dell’uomo sulla terra non deve essere, quindi, una presenza individuale, egoistica, predatoria, ma di ammirazione e di rispetto, servendosene secondo la propria creatività e i propri talenti per il progresso umano, culturale, civile e socio-economico dell’umanità (Enciclica di Paolo VI Populorum progressio, 1967).

La quarta, e forse oggi la più importante modernità, riguarda la multiculturalità. C’è un episodio nella vita di S. Francesco che ha una portata straordinaria. Nel 1219 egli, presente tra i Crociati accampati a Damietta in Egitto, di fronte all’esercito musulmano, va a incontrare, a suo rischio e pericolo, il sultano Malik al-Kamil, che lo accolse e lo ascoltò e lo fece poi riaccompagnare nel campo crociato, perfino con dei doni. Ciò che colpisce in questo avvenimento è il suo atteggiamento umile, privo di qualsiasi pregiudizio e tatticismo, l’irremovibile fiducia nell’uomo, nella sua capacità di aprirsi al bene, alla luce e all’amore di Dio. In conclusione, questo pensare francescano lo potremmo indicare anche – come già abbiamo analizzato e dibattuto all’incontro dell’UCID di Lamezia Terme il 30 novembre scorso, ispirandoci alla parabola evangelica (Lc 10,25-32) –  come la “Teoria del Samaritano o economia di condivisione”, che, poi, è solo un modo diverso di esprimere l’Economia di Pace, perché le parole-chiave che richiamano entrambe sono le stesse: reciprocità, prossimità, gratuità, dono, giustizia, fraternità, che, unite ai principi permanenti della dottrina sociale della Chiesa (dignità della persona, sussidiarietà, solidarietà e bene comune), costituiscono il metodo per oltrepassare il limite – di cui parla Nelida Ancora nel suo articolo – delle divisioni e degli interessi egoistici del mercato tout court, nella consapevolezza che il nostro futuro risiede nell’interdipendenza.

Oreste BazzichiDocente di filosofia sociale ed etica economica alla Pontificia Facoltà Teologica S. Bonaventura-Seraphicum (Roma)

 

 

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