La via della pace tra Russia e Ucraina, ci vorrebbe San Francesco

Se San Francesco ritornasse oggi come agirebbe per promuovere il dialogo Russo-Ucraino? Una domanda nata dal ricordo dello storico incontro del frate di Assisi con il sultano d’Egitto al tempo della quinta crociata, 800 anni fa.

 

Era la metà del 1219 quando frate Francesco decise di aggregarsi alla quinta crociata come pellegrino penitente con l’intenzione di raggiungere il Santo Sepolcro a Gerusalemme. Le fonti ci dicono che, una volta sbarcato ad Acri, Francesco si recò a Damietta, sul delta del Nilo, dove da oltre un anno l’esercito cristiano teneva la città sotto assedio. E qui, approfittando di una tregua nei combattimenti, rese visita al sultano d’Egitto Malik al-Kamil, nipote del Saladino, portando con sé un compagno, frate Illuminato da Rieti.

Non sono concordi le fonti storiche circa i motivi che spinsero Francesco verso questo incontro, e non ci sono neppure molti particolari sull’incontro stesso. Ma tutte le fonti concordano nel riferire di un’accoglienza da parte del sultano che nessuno, date le circostanze, avrebbe osato immaginare. Per usare le parole di San Bonaventura da Bagnoregio, “vedendo l’ammirevole fervore di spirito e la virtù dell’uomo di Dio” il sultano non solo evitò di tagliargli la testa, come pare gli avessero raccomandato i suoi consiglieri, ma “lo ascoltò volentieri e lo pregò vivamente di restare presso di lui” (cap.IX, n.8, FF.1174). Non è neppure chiaro quanto tempo Francesco si trattenne nell’accampamento saraceno, se qualche giorno o un mese, ma sappiamo – come riferisce lo scrittore e predicatore Giacomo da Vitry (1165-1240) – che il sultano, prima di congedarsi da Francesco, lo pregò in segreto “di supplicare per lui il Signore perché potesse, dietro divina ispirazione, aderire a quella religione che più piacesse a Dio”. Un’ipotesi tanto verosimile se si pensa all’impegno apostolico di Francesco, che tra l’altro fu il primo santo cristiano durante il Medioevo ad avviare un dialogo con il mondo musulmano. Ed in linea con la sua determinazione a visitare la terra del Signore come pellegrino, pellegrinaggio tentato per ben due volte prima del 1219.

Riflettendo sull’attuale guerra in Ucraina, sulle gravi crisi internazionali in atto, tra queste l’Afghanistan, a noi sembra che stia riemergendo la questione dello scontro – e del confronto – di civiltà e religioni, e che confermino le parole profetiche di Papa Francesco pronunciate per la prima volta nel 2014 “Siamo entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”. In questa prospettiva mondiale possiamo dire che la guerra Russia-Ucraina abbia rivelato le molte criticità del nostro vivere come comunità mondiale, comunità di popoli, offrendoci, forse, una grande opportunità storica: quella di scoprire il valore dell’incontro, del diverso, del dialogo e del “cooperare” insieme per aprire l’umanità tutta ad un futuro di Pace e Sviluppo.

Questo è il senso del richiamo a San Francesco, al suo incontro con il “diverso”, piuttosto che rassegnarci ad affrontare una guerra per difendere il paradigma del passato che probabilmente la storia ha già superato. Da qui la nostra profonda convinzione che in questo tempo ci vorrebbe un altro san Francesco!

Un “qualcuno” che come san Francesco, non temendo diversità culturali, religiose, di modelli di sviluppo andrebbe incontro al “diverso”, non nemico, un “qualcuno” in grado di aprire un dialogo guardando al cuore dell’uomo ed all’umanità del popolo che egli rappresenta. Un dialogo che richiamasse Dio, Essere o spirito trascendente che superando tutte le diversità ci rende “fratelli”.

Francesco di Assisi, il fratello più amato e universale, ci insegnerebbe la strategia del dialogo paziente e perseverante, intelligente e concreto, a tutti i costi, per amore della pace e della riconciliazione. Un dialogo che è scuola di ascolto e comprensione, che insegni a conoscere, rispettare ed amare le diversità e capace di superare tutte le paure.

Quella di Francesco fu una missione di pace, nel senso autentico del termine, per ottenere con la diplomazia dell’empatia (entrare nel cuore dell’altro) ciò che i crociati non erano riusciti a ottenere con le armi. Lo scopo di Francesco non era di convertire il sultano, come sostenuto da alcune fonti storiche, ma di avviare una trattativa per ottenere qualcosa di importante: la pace. Su quest’ultimo punto la storiografia francescana scrive che per Francesco “il gran bene consisteva nell’assicurarsi da parte del sultano il permesso per sé, per i suoi frati, e ovviamente per tutti i pellegrini cristiani che si erano uniti alla crociata con il sogno di poter visitare la Terra Santa, di potervi andare senza pagare tributi (il cui versamento era vietato dalla Chiesa nel tempo della crociata), o, peggio, senza essere costretti a prestare servizio armato nell’esercito crociato” (Francesco nei cronisti della V Crociata, FF 2690-2691)

Ecco dunque lo scopo immediato della missione, il motivo dell’incontro con il sultano; il cui esito, dal momento che i due frati erano rientrati sani e salvi all’accampamento crociato, non poteva che essere stato positivo. È lecito comunque pensare che durante l’incontro di Damietta Francesco e il sultano abbiano discusso la futura presenza francescana in Terra Santa; e che taluni degli eventi che seguirono siano stati in qualche modo preparati da quella conversazione. La missione apostolica dei francescani in Terra Santa poté infatti iniziare negli anni successivi, nonostante i continui scontri tra cristiani e musulmani. E anche dopo la caduta dell’ultimo bastione crociato di Acri, nel 1291, i frati minori continuarono la loro presenza in Terra Santa, dove oggi alla Custodia di Terra Santa sono affidati 74 santuari, tra cui il Santo Sepolcro a Gerusalemme, la chiesa della Natività a Betlemme e quella dell’Annunciazione a Nazareth. Un dato che da solo basterebbe a descrivere la lungimiranza di Francesco e la sua capacità di stare sempre avanti rispetto allo spirito del suo tempo. Che i santi vedano più lontano degli statisti potrebbe quindi essere la morale di questa pagina che abbiamo scritto di storia francescana; che poi è un po’ il senso del titolo: oggi ci vorrebbe un san Francesco!

Sono passati oltre 800 anni dal tempo di San Francesco ma lo spirito dell’incontro e del dialogo è sempre vivo e presente nel cuore di molte donne ed uomini dell’intera comunità mondiale, la domanda è come farlo partecipe ed attore nell’attuale crisi. Lo scorso agosto in occasione della crisi Afghana, prendendo spunto da un famoso quadro ispirato dalle prediche del francescano San Bernardino da Siena, l’Allegoria del Buon Governo di Lorenzo Ambrogetti (1338) in un articolo segnalavamo la necessità di riconoscere il ruolo dei rappresentanti religiosi quali partners necessari nei dialoghi di pace volti non solo a far tacere le armi, ad una tregua, bensì ad attivare autentici processi di sviluppo. Da qui la proposta di un nuovo obiettivo di sviluppo SDG 18 al fine di riconoscere (legittimare) il ruolo dei rappresentanti religiosi quali partners per la realizzazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. La crisi umanitaria in Afghanistan, il valore della pace e la necessaria cooperazione tra le religioni). Ci ha sorpreso ritrovare il senso e lo spirito di questa riflessione nel messaggio di Papa Giovanni Paolo II in occasione della XV giornata mondiale della Pace (1gennaio 1982) “La Pace, dono di Dio affidato agli uomini” (clicca qui).

Ecco le sue parole: (n.5) Se la pace è un dono, l’uomo non è mai dispensato dalla responsabilità di ricercarla e di sforzarsi di stabilirla con impegno personale e comunitario lungo tutto il corso della storia. Il dono divino della pace, dunque, è sempre anche una conquista ed una realizzazione umana, perché esso è proposto all’uomo per essere accolto liberamente ed attuato progressivamente mediante la sua volontà creatrice. D’altra parte, la Provvidenza, nel suo amore per l’uomo, non lo abbandona mai, ma lo sospinge o lo conduce misteriosamente, anche nelle ore più oscure della storia, lungo il sentiero della pace. Le difficoltà, le delusioni e le tragedie del passato e del presente devono appunto essere meditate come lezioni provvidenziali, dalle quali spetta agli uomini ricavare la saggezza necessaria per aprire nuove strade, più razionali e più coraggiose, al fine di costruire la pace. Il riferimento alla Verità divina dona all’uomo l’ideale e le energie necessarie per superare le situazioni di ingiustizia, per liberarsi dalle ideologie di potenza e di dominio, per intraprende un cammino di vera fraternità universale. I cristiani, fedeli a Cristo che ha predicato il «Vangelo della pace» e che ha fondato la pace nei cuori riconciliandoli con Dio, hanno – come sottolineerò alla fine del presente Messaggio – dei motivi ancora più decisivi per riguardare la pace come un dono di Dio e per contribuire coraggiosamente alla sua instaurazione in questo mondo, nella misura stessa in cui ne desiderano il totale compimento nel Regno di Dio. Ed essi sanno di essere invitati a unire i loro sforzi a quelli dei credenti di altre religioni, che denunciano instancabilmente l’odio e la guerra e che – per vie diverse – si impegnano a promuovere la giustizia e la pace. In queste ultime parole troviamo la risposta alla nostra domanda: forse sta proprio a noi cristiani promuovere iniziative di pace in collaborazione con i credenti di altre religioni!

Nelida Ancora – UNIAPAC Delegata dialogo ecumenico ed interreligioso (https://uniapac.org/governance/)

Oreste Bazzichi – Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura (https://www.sanbonaventuraseraphicum.org/)