Bazzichi: “Modelli sociali per una economia di pace”

Lunedì 03 Marzo 2014

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Lamezia Terme – All’articolo di Nelida Ancora all’inizio dell’anno sull’economia di pace hanno fatto seguito alcune interessanti riflessioni di cornice, ma anche ricche di spunti specifici e di riferimenti territoriali. Questo intervento ha soprattutto lo scopo di alimentare il dibattito e di sollecitare proposte. Perché, se è vero, come sostiene Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio (1967) che “l’altro nome della pace è lo sviluppo” – affermazione ripresa da Giovanni Paolo II nella  Centesimus annus (1991), n. 52 – allora, seguendo il criterio dei “segni dei tempi”, il cristiano deve imparare a scrutare i mutamenti storico-sociali e proporre nuovi paradigmi e nuovi modelli, indirizzati al bene comune. Tra questi, non è fuori luogo riconsiderare – su presupposti e prospettive diverse – il principio di associare il lavoro al capitale, campo di battaglia dagli albori della dottrina sociale della Chiesa fino alla Mater et Magistra (1961) di Giovanni XXIII. La partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa – mai presa in seria considerazione dalle parti sociali interessate per motivi opposti (distribuzione dei profitti e non anche delle perdite, e rischio di attenuazione del ruolo sindacale nella contrattazione) – oggi, di fronte alla lunga e interminabile crisi economico-finanziaria e sociale, potrebbe “dar vita – come scrive il Compendio – ad una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali” (n.281). La possibilità di rendere flessibile una quota retributiva implica necessariamente una “partecipazione finanziaria” dei lavoratori- Infatti, la quota variabile della retribuzione è collegata ad indicatori di performance aziendale, ed è proprio attraverso questo legame che i lavoratori vengono resi partecipi dell’andamento economico dell’impresa.
Oggi potremmo analizzare, valutare e realizzare quattro tipi di modelli: il modello che vede la partecipazione del lavoratore legata all’andamento economico-produttivo dell’impresa; il modello che lega ancora più il lavoratore alla redditività aziendale (profitto, utile lordo e utile netto); il modello che lega lavoratori e impresa in un accordo cooperativo ai processi decisionali; infine, il modello di sviluppo delle competenze. Nel primo modello si ha una partecipazione dei lavoratori, legata all’andamento economico dell’impresa, senza alcun coinvolgimento nei processi decisionali. L’obiettivo di allineare le azioni dei lavoratori agli interessi dell’impresa si concretizza nell’adozione di un sistema retributivo che premia il risultato produttivo del lavoratore, collegando la quota variabile del salario ad indicatori di perfomance aziendale. Quindi si tratta di una partecipazione che assume connotati meramente finanziari, dove sussiste netta la distinzione dei ruoli tra le due parti, portatori, ciascuna, di interessi contrastanti.
Nel secondo modello il salario non risulta più collegato ai risultati quantitativi, ma ai risultati reddituali dell’impresa; quindi, il conflitto di interessi tra imprenditore e lavoratore tende ad attenuarsi. Infatti, è il sistema stesso di retribuzione che determina un aumento del senso di identificazione dei lavoratori con l’impresa in cui lavorano e incentiva il mutamento dell’organizzazione verso un maggiore coinvolgimento dei lavoratori ai processi decisionali. La partecipazione organizzativa dei lavoratori diventa la naturale conseguenza della partecipazione finanziaria. Nel terzo modello cooperativo e nel quarto modello delle competenze (imprese ad alta innovazione tecnologica), il punto di partenza si rovescia completamente rispetto ai due casi precedenti. Il perseguimento degli obiettivi dell’impresa non si verifica attraverso la variabilità del salario, ma attraverso il ripensamento dell’organizzazione verso una maggiore partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali. Il lavoratore prende parte alle decisioni insieme al datore di lavoro: entrambi scelgono l’obiettivo, entrambi lavorano congiuntamente per realizzarlo. In questo modo il salario diventa flessibile, rendendo i lavoratori partecipi, anche da un punto di vista finanziario. L’impresa è il luogo comunitario in cui gli interessi delle parti confluiscono verso il perseguimento di un unico obiettivo: il miglioramento della competitività dell’impresa. La conflittualità perde di significato e viene sostituita dalla presenza di una pluralità di soggetti e di competenze che partecipano insieme, al raggiungimento dell’obiettivo comune, attraverso decisioni e azioni discusse e condivise. Così l’impresa torna a svolgere il suo doppio ruolo sociale: servire il bene comune, producendo beni e servizi utili e creando opportunità d’incontro, di occupazione, di collaborazione e di sviluppo delle capacità umane; contribuire allo sviluppo concreto della persona e della società. Dai miei incontri con gli amici dell’UCID di Lamezia Teme ho constatato un impegno in questa direzione: da un lato, nel sostenere la funzione sociale dell’impresa, creando fruttuose “relazioni” e “nuove opportunità”  per saltare il guado della crisi, dall’altro nel conquistare quotidianamente valori di equità e giustizia, presupposto necessario per una vero sviluppo, fondamento di economia di pace.

Oreste Bazzichi

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