Dimora Cristiana per il Federalismo – Documento spirituale e politico per il Sud


…………….”Sarà essenziale operare su tutti i piani per sanare la storica ferita di quel divario tra Nord e Sud che si va facendo perfino più grave, mentre risulta obbiettivamente innegabile che una crescita più dinamica dell’economia e della società nazionale richiede uno sviluppo congiunto, basato sulla valorizzazione delle risorse disponibili in tutte le aree del paese”……………………….

Queste le parole pronunciate dal Presidente Giorgio Napolitano nel discorso di fine anno, il 31 dicembre 2010.

Parole che evidenziano la storica ferita del divario tra Nord e Sud d’Italia, una questione culturale, sociale, antropologica, economica e certamente politica che da più parti si tenta di affrontare, analizzare per poi formulare possibili proposte per una soluzione strutturata e definitiva.

Una novità, a mio avviso  significativa e  positiva, è rappresentata dalla associazione “Dimora Cristiana per il Federalismo” (di seguito DCPF) di recente costituzione, frutto dell’ iniziativa congiunta  di Don Raffaele Pettenuzzo e del Sen. Giuseppe Leoni.

Una associazione ispirata ad  un documento spirituale e politico per il Sud nella cui introduzione  è scritto: “Dimora Cristiana per il Federalismo vuole essere un movimento spirituale e politico che esprime la Visione Cristiana del mondo”.

Quello che colpisce è il coraggio con cui si coniuga l’ispirazione cristiana, o meglio, nello specifico la Dottrina Sociale della Chiesa, con una concreta azione politica facendo leva su un punto di grande attualità e dirimente per la  evoluzione del nostro sistema democratico, il Federalismo.

Uno sforzo che credo possa essere inteso anche come  risposta al ripetuto appello  rivolto del Papa ai laici cattolici di  impegnarsi, con Fede e competenza,   nel sociale e nel politico per costruire un nuovo modello di Bene Comune.

Il primo appello fu lanciato da Benedetto XVI l’8 settembre 2008 a Cagliari, in occasione della visita  alla Madonna di Bonaria, patrona della Sardegna. Il Papa invitò i cattolici a promuovere una «nuova generazione di laici» capaci di rinnovare il mondo dell’ economia e della politica.

Questo appello anticipò quanto magistralmente sviluppato nella  enciclica sociale “Caritas in Veritate”, pubblicata nel  luglio 2009, definita da molti  un vero manifesto politico per l’umanità del terzo millennio. Nell’enciclica un percorso ragionato che indica la meta  cui dovrebbe essere indirizzato l’impegno dei laici cattolici: elaborare un nuovo modello di sviluppo.

Il grande valore di questa enciclica è  rappresentato dall’aver sostenuto ed argomentato la dimensione pubblica  del cristianesimo e del suo impatto positivo nella costruzione del Bene Comune, fonte di un autentico sviluppo.

L’enciclica è un percorso razionale  che ci conduce, come cattolici, ad attingere alla fonte vera della forza della nostra identità , Gesù Cristo, per elaborare  un modello di sviluppo fondato sul Vangelo, vero motore di sviluppo.

Nella conclusione della Caritas in Veritate si legge che:” Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, da cui procede l’autentico sviluppo, che non è da noi prodotto ma ci viene donato” (n.79)

Riprendendo il  documento “ Dimora Cristiana per il Federalismo”, prima di approfondire qualche punto,  si può sostenere che nei vari enunciati esso si muove nel solco del percorso segnato dalla 46° settimana sociale svoltasi a RC 14-17 ottobre 2010 (“Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese”) e dal documento della Conferenza Episcopale Italiana: “Per un paese solidale. Chiesa Italiana e Mezzogiorno” (10 febbraio 2010).

Il documento   annuncia l’obbiettivo di creare un movimento spirituale e politico ed  offre al popolo del Sud un percorso di riflessione per potersi riappropriare della propria dignità, libertà, e  costruire consapevolmente e responsabilmente il proprio futuro.

n.4 La libertà di coscienza –(pag.8) Dimora Cristiana per il Federalismo sottolinea l’importanza di saper “prendere in mano se stessi” per poter decidere liberamente sulla propria vita………

n.13 Libertà di lavoro e diritto al lavoro : (pag. 33) –  DCPF rivendica al pensiero sociale cristiano l’idea forza che l’anima del lavoro, o ciò che completa l’uomo nel lavoro, è il suo essere sociale…..(rifiutando i principi liberisti e quelli marxisti)

Un punto che caratterizza la specificità del documento è il n.18 (pag.45):

Il “carattere italico”: particolarità ed universalità.

DCPF afferma che l’uguaglianza tra gli uomini è da sempre il principio fondamentale della Visione Cristiana del mondo e che in tutti si evidenziano, sempre, due componenti: la componente umana e la componente etnica………………….Pertanto DCPF evidenzia come l’etnicità penetri profondamente l’essere di ogni uomo e vi infonda degli atteggiamenti tipici in tutte le manifestazioni del proprio pensiero e della propria area: sono cioè le nostre radici.

(pag.50) DCPF, in quanto, appartenenti alla stessa famiglia umana vuole riscoprire l’elemento tipico dell’italianità, dove per quanto profondamente caratterizzati dalla particolarità o etnicità, ci si può incontrare nei valori del Vangelo e ci si può ritrovare, gli uni insieme con gli altri, in quel mondo che “la Nazione Italia”.

Il documento in relazione all’Europa (n.19 Cittadinanza europea (pag.51) fa riferimento all’umanesimo cristiano rivendicando, quale  memoria storica fondante, il pensiero dei padri Robert Shuman, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer che l’Europa non potrà e non dovrà restare un’impresa economica e tecnica…….

DCPF si conclude con un  appello affinchè la speranza non muoia,  un invito al coraggio della speranza, l’invito contenuto anche nel Documento per il Mezzogiorno della CEI.

Speranza non è utopia, la speranza cristiana è un metodo di impegno personale, sociale, civile e politico che sa trascendere gli ostacoli della realtà promuovendo un nuovo processo di rigenerazione, come scriveva Don Luigi Sturzo nel suo più importante  discorso sulla questione meridionale, pronunciato a Napoli il 18 gennaio 1923: ”La nostra parola è questa: il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno! Così il resto dell’Italia riconoscerà che il nostro è problema nazionale e unitario, basato sostanzialmente nella chiara visione di una politica italiana mediterranea e di una valorizzazione delle nostre forze. Questa visione non deve essere monopolio di partito, ma coscienza politica della nostra gente………….”

Nonostante le attuali tensioni sociali, economiche e politiche tanti i segni di speranza nel nostro Paese, uno a noi tutti molto caro è il risveglio della “questione meridionale” e l’impegno di molti a volerlo affrontare  alla luce della Parola del Vangelo e di una qualificata competenza, segni di speranza preludio della certezza di un nuovo “Rinascimento Italiano”.

Il Presidente Francese Sarkozy nell’ottobre 2008   dichiarò: “ E’ attraverso il Mediterraneo che l’Europa e l’Africa si uniranno”. Se il Mediterraneo è il luogo culturale di incontro tra questi due continenti, il nostro mezzogiorno non potrebbe candidarsi ad essere il “ ponte naturale” di collegamento ed integrazione?

Mentre nel mondo sta prendendo corpo e forma  un nuovo ordine internazionale,  come “popolo italiano”, rivendicando la nostra identità valorizzata delle varie  specificità, frutto anche di una equa riforma federale, potremmo elaborare una nostra proposta e ritagliarci un ruolo storico nel nuovo Mondo.

Non basta partecipare al summit congiunto con i Capi di  Stato e di Governo per essere padri responsabili di un progetto politico. I cittadini del  nostro mezzogiorno, le persone, il popolo del nostro Sud, non vogliono essere spettatori passivi, vogliono essere attori politici creativi e responsabili.

Rivendicare un ruolo per il Sud in una visione geopolitica  euro-mediterranea  non risponde alla vecchia logica di  contrapposizione con il Nord, tutt’altro,  la visione cristiana rende sicura la via del dialogo e del confronto e della integrazione. Una integrazione autentica avviene  laddove vengono rispettate tutte le diverse e legittime identità. Una cooperazione tra le enormi potenzialità del nostro Nord e del nostro Sud può garantire lo sviluppo dell’intero Paese,  uno sviluppo che sappia essere al servizio di quei grandi valori, incarnati nella fede cristiana, di cui l’umanità ha bisogno per vincere la sfida del terzo Millennio: libertà,prima tra tutte libertà religiosa,  giustizia sociale, sviluppo e pace.

E’ la visione cristiana cui si ispira anche la DCPF che può dare la spinta, la forza ed il  coraggio di rompere i vecchi schemi assistenziali che continuano a  soffocare la legittima aspirazione creativa  dei cittadini del Sud, soprattutto dei giovani ,ad aprire la via della “speranza” al Futuro.

Nelida Ancora

La rivista “La Società”

3 – Maggio/Giugno 2011

www.fondazione.toniolo.it

Un commento su “Dimora Cristiana per il Federalismo – Documento spirituale e politico per il Sud”

  1. Cara Nelida,ti allego un articolo che ho scritto qualche mese fa su “federalismo ”

    Dal federalismo “contro” al federalismo “con”.

    In Italia, istintivamente la gente comune non associa l’idea di federalismo con la ricerca di un meccanismo istituzionale più efficiente per il paese, bensì a una contesa fra Nord e Sud. E non ha tutti i torti, perché il federalismo è uscito dalle polveri stantie delle biblioteche ed è diventato una linea politica viva proprio a seguito di un moto di rifiuto che, forse nebulosamente, prendeva di mira il meridione. Il primo federalismo italiano – vero e in azione, compreso dalla gente – è nato come una polemica e si è rivestito di toni rivendicativi.
    Non è un male perché, se vogliamo essere sinceri, dobbiamo ammettere la componente localista, ribelle e polemica del nostro federalismo che era all’origine un federalismo “contro” qualcosa o qualcuno; ma, volendo essere altrettanto sinceri, dobbiamo anche dirci che la componente ribelle e aggressiva di questo federalismo italiano era necessaria visto che, da che mondo è mondo, i nodi infetti di interessi inconfessabili, posizioni di rendita e privilegi non si sono mai sciolti col dialogo degli intellettuali. Nodi del genere si tranciano, non si sciolgono.
    Adesso però, la situazione è evoluta. Si sono registrati dei concreti passi in avanti, l’idea di federalismo è entrata nelle case e comincia ad essere compresa. L’interrogativo che ci si deve porre, allora, è se il linguaggio rivendicativo e la minore attenzione alla componente solidaristica del federalismo – che pure esiste ed è necessaria – servano ancora alla causa come sono serviti in passato. Forse no, e non perché adesso siamo sufficientemente forti o maturi per permetterci il lusso di toni più concilianti. La ragione è un’altra ed è che un federalismo meno conflittuale, più digeribile da tutti, è forse l’unica chance per questa nostra povera Italia: l’unico terreno su cui far ripartire un dialogo e una politica responsabile.
    La politica è un grande negoziato permanente e tutti i manuali di tecnica negoziale raccomandano una regola fondamentale: “affronta e attacca la sostanza del problema, non la persona dell’avversario”. Esattamente quello che in Italia non succede più. E’ palese che il progresso istituzionale della nostra nazione è bloccato dall’incomunicabilità e dalla mancanza di idee su cui far convergere un confronto politico costruttivo, soffocato invece dai personalismi. Ma forse non siamo così a corto di idee, l’argomento giusto esiste ed è il federalismo; un federalismo però digeribile da tutte le parti e fazioni come punto di partenza per una dialettica sana e unificante.
    Ad esempio, a guardare le cose nell’atmosfera dei nostri giorni, ci sembra che non ci sia nulla di più inconciliabile che la sensibilità leghista e l’universo ideale dei “verdi”. Ma se prendiamo un po’ di distacco, scopriamo che federalismo significa riappropriazione, rispetto e valorizzazione del territorio, del suo patrimonio produttivo, della saggezza tradizionale che ha tratto da ogni territorio le soluzioni giuste per garantire la qualità della vita: con sufficiente distacco, scopriamo che si tratta di valori molto simili a quelli dei “verdi”.
    Un’altra pietra della discordia è stata la riluttanza con cui il mondo cattolico – che fa della solidarietà il fulcro dei propri valori sociali – ha guardato al linguaggio di reazione, rivendicazione e contrasto caratteristico del primo federalismo. Eppure oggi – e io stesso sono impegnato su questo cammino – si aprono le condizioni per parlare di un federalismo che valorizza l’uomo nel suo territorio, assolutamente in linea con la dottrina sociale della chiesa e, anzi, che può essere sposato anche da quelle regioni del Paese che si sentivano più aggredite che coinvolte dalla costruzione federalista.
    In sostanza, abbiamo una storica “window of opportunità” di ricreare le condizioni di una politica vera e sana in base all’idea di federalismo, ma occorre il coraggio di farlo maturare da un federalismo “contro” a un federalismo “con”. La parola “coraggio” non è esagerata né retorica: si tratta di un’evoluzione che avrà dei costi elettorali proprio presso quei tanti che ancora oggi votano l’ideale federalista sentendo le ragioni del federalismo “contro”. Ma è lecito sprecare l’opportunità storica che abbiamo?

    Giuseppe Pantano
    Presidente
    Dimora Cristiana per il federalismo in SICILIA

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